Nugget, un compagno di vita a quattro zampe
C’era una volta un cane che con il suo grande affetto aiutò Marianne Heinlein a superare un periodo buio della sua vita. Una volta ritrovato il sorriso, Marianne decise che era il momento di rendere agli altri un po’ del bene che aveva ricevuto, accompagnata dal suo Nugget.
Reportage: Dagmar Wurzbacher
Fotografie: Marianne Heinlein e Markus Willi
Fu l’ultimo regalo che il marito le fece prima di morire prematuramente. «Avrai bisogno di qualcuno che ti aiuti ad andare avanti», le disse. E quel qualcuno era Nugget. Marianne Heinlein, che non aveva mai avuto un cane prima di allora, divenne improvvisamente proprietaria di un Golden Retriever senza sapere che un giorno sarebbe addirittura diventata una conduttrice di cani da ricerca.
Oggi Marianne ha 53 anni e dedica gran parte del suo tempo al suo amico a quattro zampe e a REDOG. «È capitato così», afferma con modestia, come se addestrare due cani al salvataggio e creare un rifugio per animali abbandonati nel proprio giardino fosse la cosa più scontata del mondo. Ogni giorno dopo pranzo Marianne Heinlein chiude la sua sala da tè per dedicarsi ai suoi ospiti speciali. Insieme al suo partner, che si chiama anche Marianne. E allena anche un cane da salvataggio.
È capitato così
Marianne Heinlein, conduttrice di cani da ricerca nell'istruzione
«In uno dei momenti più tristi della mia vita ho ricevuto moltissimo sostegno da parenti e amici». Ma è anche grazie all’aiuto inaspettato e disinteressato di qualcun altro se è riuscita a superare quel periodo di crisi. «Tutto quell’affetto mi ha toccato così tanto che ho deciso di restituirne un po’». Sin dall’inizio per Marianne avere un cane significava più di qualche passeggiata nel quartiere. È così che un giorno, alla ricerca di un’attività significativa da svolgere con lui, si è ritrovata a seguire un corso di pet therapy e poi a far visita ai residenti di una casa di riposo accompagnata da Nugget: «Durante le visite era lui la vera star».
L’attività di salvataggio l’ha scoperta più tardi con Leejay, Golden Retriever anche lui. A nemmeno due anni il cane svolge gli allenamenti come se non avesse mai fatto altro: «Leejay impara più in fretta di me», dice Marianne ridendo, «a volte mi impressiona». Dopo solo sei mesi di allenamento il cane aveva già imparato a mettersi in bocca il bringsel, un testimone di nylon di 10 centimetri attaccato al collare che rappresenta il principale mezzo di comunicazione tra cane da ricerca e conduttore.
Mettendoselo in bocca il cane indica infatti di aver ritrovato qualcosa: potrebbe essere una persona a terra, ma anche uno zaino abbandonato o una giacca, vale a dire un elemento che non dovrebbe trovarsi lì. Ai passanti, invece, non presta alcuna attenzione. Il bringsel è un intelligente strumento di comunicazione in quanto il cane può allontanarsi da solo fino a una distanza di 80 metri.
Ma per ottenere risultati del genere sia il cane che il padrone devono allenarsi a lungo, ogni martedì sera, poco importano le condizioni meteo, e a volte pure nei fine settimana. Anche le passeggiate sono un’occasione per esercitarsi. La formazione dura dai due ai tre anni e include conoscenze di alpinismo, orientamento e primo soccorso. Prima di ottenere l’ok per partecipare alle missioni è necessario superare diverse prove attitudinali e un esame che consiste nel perlustrare per ore un’area con un dislivello di diverse centinaia di metri e uno zaino di 15 kili sulle spalle.
Cosa ha spinto questa signora dalla costituzione esile a impegnarsi in seno a REDOG, la società svizzera per cani da ricerca e da salvataggio? «Quando ho saputo dello zaino era ormai troppo tardi», scherza Marianne e aggiunge: «Le prime gocce di pioggia sono fastidiose, ma poi quando uno è bagnato, è bagnato». Dopo ogni allenamento torna a casa con il sorriso. Ritrovarsi con Leejay nella natura le ha insegnato molto sulla loro attività e su lei stessa, racconta. Svolgere un compito così importante con il suo cane la gratifica, soprattutto quando si tratta di aiutare una famiglia disperata a rintracciare un parente scomparso: «Cosa c’è di meglio?».